In memoria di Giuseppe Di Matteo (19/1/1981-11/1/1996) e tutte le altre vittime della mafia.
Ho sempre pensato che fosse molto più importante, oltre che sensato, ricordare i nomi delle vittime invece di quello del carnefice nel caso di omicidi, e questo non è un’eccezione.
Giuseppe era un giovane ragazzo palermitano di appena dodici anni, con una grandissima passione per l’equitazione e per i videogiochi come molti suoi coetanei, quando venne avvicinato da un gruppo di uomini vestiti da poliziotti dell’antimafia. Questi gli proposero di accompagnarlo a vedere il padre, Santino, che era in protezione testimoni lontano dalla Sicilia. La famiglia di Giuseppe infatti non era una famiglia normale, ma da parte del padre aveva legami con la mafia da diverse generazioni, tuttavia il padre decise di collaborare con la giustizia dopo il suo arresto, facendo da testimone anche nel processo sulla strage di Capaci, di cui era complice. Questa scelta fu pagata a caro prezzo da tutta la famiglia, difatti Giuseppe fu sequestrato per settecentosettantanove giorni, oltre due anni. In questo periodo non gli fu riconosciuto alcun diritto da parte degli “”uomini d’onore””, al punto che non mangiò un pasto caldo fino agli ultimi mesi della sua prigionia e non potè mai uscire all’aria aperta, e verso la fine il povero ragazzo era “molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro” per via dell'atrofia muscolare e della tortura.
Questa storia purtroppo non ha un lieto fine. L’11 gennaio 1996 Giuseppe, neanche quindicenne, fu vittima di una lupara bianca e il suo corpo venne sciolto nell’acido.
Ma quali furono le menti contorte capaci di architettare un crimine così atroce?
La prima, molto presente nell’attuale panorama e che mi ha ispirato a informarmi a fondo sul delitto, è quella di Matteo Messina Denaro, l’ultimo superlatitante, che forse per un’ironica giustizia, è stato arrestato proprio nei pochi giorni dell’anno compresi fra le date di morte e di nascita di Giuseppe. A lui si aggiungono Giuseppe Graviano, probabile esecutore manuale della strage di via D’Amelio e con molti legami in politica, Leoluca Bagarella, che fra altri orribili reati ha ucciso Domenico Buscetta, nipote del noto pentito Tommaso, e Giovanni Brusca.
Quest’ultimo in particolare dimostra una crudeltà immensa, dato che non solo è il principale ideatore del piano di rapimento ma era anche figura nota alla famiglia Di Matteo, che lo aveva anche ospitato durante la sua latitanza. Durante questo periodo aveva anche fatto amicizia con Giuseppe, e aveva regalato a lui e al fratello Nicola, ignari dei legami con la mafia, una console di videogiochi. Questo non lo ha però fermato dal rapire, torturare e uccidere il ragazzo con cui aveva giocato più volte.
Fortunatamente tutti questi mafiosi sono ora condannati all'ergastolo secondo l’articolo 41-bis, che stabilisce limiti nei contatti con altri carcerati per impedirgli di continuare a gestire il proprio impero e ridurre possibilità di evasione, con l'eccezione di Brusca, che ha collaborato con la giustizia e scontato 25 anni di carcere.
Su internet è facilmente disponibile la testimonianza di Vincenzo Chiodo, l’esecutore manuale dell’omicidio, che prima ho citato per raccontare delle condizioni del ragazzo, ma che non riporterò per evitare di rendere l’articolo troppo macabro, e si conclude dicendo “Poi siamo andati tutti a dormire.”, dimostrando come per queste persone atti orrendi come questo non disturbino neanche il sonno.
Insomma, spero che la prossima volta che qualcuno prova a dire che la mafia ha un suo onore vi tornerà in mente la storia del povero Giuseppe come prova irrefutabile della falsità dell’affermazione.