Il soccombente di Thomas Bernhard: Riuscire a esistere


"Il nostro soccombente è un esaltato, quasi ininterrottamente è lì che muore di autocommiserazione."



Tormento, spasimi ed esasperazione a fronte di un mondo che è subire, un deserto di passività. Svanita ogni forza di essere, un precipitare fino al proprio annullamento assoluto. Questo è "il soccombente", l'appellativo affibbiato a Wertheimer, uno dei tre pianisti protagonisti del romanzo omonimo di Thomas Bernhard.

La storia prende la forma di un monologo ininterrotto di un anonimo io narrante scritto in uno stile profondamente esacerbato, costellato di parole ripetute e inasprite da un utilizzo volontariamente esagerato del corsivo. Il narratore, secondo protagonista, racconta i vecchi rapporti che legavano lui, Wertheimer e Glenn Gould, terzo protagonista.

Wertheimer è un pianista eccezionale. Agogna la qualifica di brillante, di migliore, la padronanza musicale, ha una "concezione dell'arte" che brama far coincidere con la propria musica, è la sua missione irrevocabile. Poi c'è Glenn Gould: senza sforzi, senza ideali, senza eccessi, mira soltanto a diventare tutt'uno col pianoforte, a essere, dice lui, non un "pianista", ma un "suonatore di piano", insomma non un soggetto ma un oggetto, una macchina, il pianoforte medesimo. E Glenn effettivamente lo è. O quasi, ma certamente più di Wertheimer, che, aspirando a essere "pianista" e "non suonatore di piano", a essere un "artista", non può nemmeno sfiorare l'immediatezza magistrale dell'automa-Glenn, frapponendo se stesso fra la musica e il pianoforte. Tutto ciò demolisce Wertheimer, un uomo del "tutto o niente", un idealista, un soggettivista che non può attingere alla stessa potenza travolgente di un Glenn che è innanzitutto reale, perché impersonale, fuso col reale stesso. Gli uomini del "tutto o niente" finiscono dunque per essere uomini della medietà, meri intermezzi mediocri, ostacoli al naturale fluire della bellezza delle cose del mondo. Perso il "tutto", preferiscono lasciarlo ad altri, finire di essere un intralcio e diventare un assoluto "niente", soccombere.

La reazione di Wertheimer a tutto ciò è soltanto il parossismo del suo soccombere stesso. Insieme al narratore, dopo aver udito per la prima volta le Variazioni Goldberg suonate da Glenn, decide di abbandonare il pianoforte. Si rifugia in quelle che chiama "scienze dello spirito", ossia si isola nella propria baita con surrogati del pianoforte che considera penosi lui stesso, la lettura di filosofia e la scrittura di aforismi. Sigillatosi ormai irrimediabilmente nel proprio idealismo sconsolato - alla cui cima vi è l'epifania micidiale della maestria immacolata di Glenn - persa ogni capacità di dare l'impronta del proprio ideale alle cose, la facoltà di agire, Wertheimer tenta disperatamente di esercitare un controllo sulla vita della sorella, vaga senza meta per Vienna ed è stomacato dalla viltà degli uomini e dalla propria. Quando anche la sorella sfuggirà alla sua mania di controllo, si abbandonerà definitivamente al suicidio.

Rimane invece in vita il narratore, nonostante il suo addio al pianoforte. Rimane con la missione di raccontare la storia di Gould, ponendo così un dilemma: annullarsi nella macchina e brillare, o bruciare come individuo e soccombere.

10/04/2023

Articolo a cura di

Simone Modola

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