Un'altra guerra


L’alba di sabato 7 ottobre 2023 pareva una mattina come tante altre per gli abitanti dello Stato d’Israele. Appena il giorno prima era ricorso il cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra dello Yom Kippur, che aveva visto le forze dei principali paesi arabi della zona – come l’Egitto e la Siria – sferrare una pesante ed improvvisa offensiva contro Tel Aviv durante la festività ebraica del Kippur. Ma la guerra, quella mattina, sembrava ormai lontana. Certo, la pace in quell’area è sempre stata un miraggio: gli israeliani, con il beneplacito statunitense, occupano da anni diverse zone che spetterebbero alla Palestina e, in particolare sotto l’attuale governo, da molti definito illiberale e corrotto, di Benjamin Netanyahu, sottopongono a continue vessazioni i loro abitanti, che hanno di contro sviluppato un viscerale odio nei confronti di coloro che vedono come veri e propri colonizzatori. Ma questo, la mattina del 7 ottobre, sembrava qualcosa di remoto: le guerre passate, i raid degli israeliani, gli attentati dei palestinesi, i civili uccisi, i fanatismi e la violenza da ambo le parti… che cosa importa tutto questo ad un semplice cittadino di Israele che, verso le 7 di mattina, si sta recando come tutti i giorni al lavoro? Nulla, o almeno finché non alza lo sguardo.
Cinquemila missili lanciati dal gruppo terroristico islamista palestinese di Hamas solcano il cielo per abbattersi sul sud del paese, seguiti poco tempo dopo da una massiccia invasione di miliziani che occupano diverse città con una violenza indiscriminata, uccidendo barbaramente la gente per strada e prendendo centinaia di ostaggi. Il comunicato dei terroristi parla chiaro: “Oggi è il giorno della rivoluzione”. Il governo di Tel Aviv risponde immediatamente dichiarando lo stato di guerra e lanciando consistenti raid aerei sulla striscia di Gaza, l’exclave palestinese dalla quale sono partiti i missili, e preparandosi ad invaderla ignorando tutte le conseguenze umanitarie e politiche di questo drastico atto, mentre Netanyahu assume i poteri di comando dell’esercito e propone la formazione di un governo di unità nazionale che fronteggi la crisi. L’Occidente ribadisce il suo pieno sostegno ad Israele e condanna gli attacchi di Hamas, mentre a prendere la difesa dei terroristi sono la teocrazia iraniana, da sempre particolarmente ostile ad Israele, e diversi paesi della comunità araba, come l’Arabia Saudita ed il Qatar.
Decenni di violenze, prevaricazioni, ostilità e tensioni sono improvvisamente esplose, squarciando il velo di indifferenza con cui si era maldestramente cercato di coprirle. Da una parte dei terroristi fanatici ed assassini che dicono di essere i difensori di un popolo che da anni non chiede altro che il riconoscimento della propria dignità, mentre dall’altra un governo autoritario, corrotto e, per molti versi, xenofobo che pretende di essere il rappresentante di uno Stato, nato dalle ceneri della Shoah, che celebra i valori della pace, della convivenza tra popoli e dell’antirazzismo, il tutto davanti alle grandi potenze mondiali che, dietro accuse di barbarie o di imperialismo, non fanno altro che i propri interessi. E, in mezzo a tutto ciò, centinaia di morti innocenti il cui numero cresce sempre più ogni giorno che passa.
L’unica speranza per la pace, ad oggi, è che ci si affidi alla diplomazia e non alla forza per risolvere questa crisi che perdura da decenni, facendo valere il principio di autodeterminazione dei popoli e dimostrando una volta per tutte che la voce del dialogo è più forte del grido del fucile. E forse, se così sarà, sulla lunga strada per la pace nel mondo sarà stato mosso un altro, piccolo passo.

19/11/2023

Articolo a cura di

Mattia Fantini

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