Navalny, il martire non santo


Il 17 febbraio 2024 le autorità russe annunciano l’improvvisa morte, avvenuta in un remoto carcere siberiano, di Aleksej Navalny, principale oppositore al potere di Putin detenuto dal 2021 per generiche accuse di “estremismo”.

La sua morte ha suscitato diverse reazioni qui in Occidente, da chi lo santifica come un eroe, ignorando le sue dichiarazioni passate sicuramente molto criticabili, a chi lo bolla come un estremista o una marionetta americana. Eppure, il profondo rispetto che la sua figura ci deve ispirare può essere definito solo dalla comprensione di questo personaggio complesso: chi era Aleksei Navalny?

Navalny era nato nel 1976 figlio di un tecnico dell’Armata Rossa e di una funzionaria sovietica ed era cresciuto nella guarnigione nella il padre prestava servizio. Fin da giovane aveva militato in un partito liberale inviso al potere statale, pur dichiarandosi trasversale (né di destra né di sinistra per intenderci), ma era stato da questo espulso a causa di alcune sue prese di posizione estremamente nazionaliste che rasentavano la xenofobia. Aveva dunque deciso di fondare un proprio movimento, che si rivolgeva ai giovani cresciuti in una Russia già post sovietica e che quindi non avevano la nostalgia per il passato imperiale su cui si fonda il putinismo, finalizzato a rovesciare dal basso il potere corrotto e autoritario. Questo potere, paradossalmente, strumentalizzò le sue passate dichiarazioni per bollarlo come un pazzo xenofobo, ma Navalny proseguì coraggiosamente nei suoi energici attacchi contro Putin utilizzando i social per mettere in ridicolo lo Zar e denunciarne l’incompetenza e la corruzione. Il suo movimento, composto in gran parte da giovani, ha messo a nudo gran parte delle verità scomode per il regime riuscendo ad attirarsi le simpatie della maggior parte di coloro che erano invisi a Putin. E infatti Navalny sognava di poter unire tutti i dissidenti, dai nazionalisti ai liberali ai comunisti, per poter dare la definitiva spallata al potere. Proprio per questo il regime cercò più volte di sbarazzarsene con diverse condanne e leggi ad personam, arrivando, nel 2020, ad avvelenarlo all’aeroporto di Tomsk. Salvatosi a stento grazie alle cure ricevute in Germania, Navalny decise di tornare in Russia pur ben sapendo cosa lo aspettava: infatti, non appena rimesso piede in patria, fu arrestato e spostato in varie carceri sempre più duri, fino a quello dove è appena morto in circostanze ancora misteriose.

Dunque in Navalny sembrano convivere diverse nature: fu un nazionalista ma anche un dissidente morto per le sue idee, un uomo che ha lottato contro un regime dittatoriale ma anche un politico che, secondo i canoni occidentali, definiremmo populista, e quindi un pigliatutto con un programma estremamente vago con lo scopo di ottenere più consenso possibile. Sarebbe sbagliato cercare di giudicarlo secondo i nostri parametri, tutti questi aspetti che potremmo giudicare incoerenti sono in realtà perfettamente in armonia nel contesto politico russo. Ciò detto, Navalny, con le sue posizioni indubbiamente forti non è stato certo un santo, ma è stato capace di morire per le sue idee e per la libertà del suo popolo. Non importa cosa pensasse, il nostro rispetto non va al politico ma allo strenuo oppositore che ha sacrificato ogni cosa, vita compresa, alla sua lotta. Navalny è un martire, cioè un testimone, nel vero senso della parola, e la sua morte, l’ennesima di un oppositore di Putin, è un'altra crepa che si allarga alla base del suo potere evidenziandone la debolezza e suscitando l’indignazione e la rabbia popolare.

Posso chiudere parafrasando il poeta Osip Mandel’stam, morto nei gulag di Stalin, dicendo che la Russia è il paese che uccide i suoi poeti ma genera uomini disposti a morire per i loro versi.

31/05/2024

Articolo a cura di

Mattia Fantini

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