L’Art. 21 della Costituzione Italiana recita: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”
Eppure il nostro Paese, che gode di una Democrazia matura, si trova ad occupare solo il quarantaseiesimo posto nella classifica dei paesi dove vige la libertà di stampa.
Sembra un “paradosso” ma la propaganda è ancora una delle forme più in voga utilizzate per snaturare la reale situazione di tutto ciò che ci circonda.
Forse però qualcosa sta cambiando: nell’ambito giovanile, ed in particolare tra gli studenti, sta maturando la consapevolezza di essere i veri protagonisti di questo cambiamento, lo si evince dalle numerose prese di posizione nelle università. Non solo nel nostro Paese, ma anche in atenei in Francia e Stati Uniti, per citarne solo alcuni, gli studenti fanno sentire il loro dissenso sia sul piano politico che su quello economico.
In casa nostra, ha fatto scalpore ciò che è avvenuto durante l'ultima serata del Festival di Sanremo, sabato 10 febbraio. Il cantante italiano Ghali, di origine tunisina, dopo aver cantato il suo pezzo “Casa mia”, urla la frase: “Stop al genocidio!”.
La frase,ha lasciato perplesso lo stesso conduttore Amadeus, oltre ad aver irritato a distanza l’ambasciatore di Israele per il quale è “vergognoso che il palco di Sanremo sia sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”.
Immediatamente il grido di Ghali è censurato su alcune piattaforme radiofoniche.
Il giorno successivo, durante la trasmissione “Domenica In”, il cantante replica all’ambasciatore dichiarando che lui ha sempre parlato di questo argomento, poiché, nel conflitto molti sono i ragazzi uccisi, compresi futuri medici, artisti, avvocati, meccanici, cuochi, scrittori … insomma giovani che rappresentano il futuro di una nazione impoverita dalle continue azioni terroristiche perpetrate tra le due fazioni. Palestina e Israele, due Popoli, due Stati che dovrebbero, proprio per la vicinanza, essere cooperanti al fine di garantire il progresso sociale delle stesse loro generazioni.
Lo stesso atteggiamento è stato riservato a Dargen D’Amico per il suo intervento sull’immigrazione, al cantante non è stato permesso di rispondere alle domande dei giornalisti sulla sua canzone "Onda Alta”, poiché interrotto dalla conduttrice Mara Venier con la scusa che la trasmissione non fosse proprio la platea adatta per trattare simili argomenti.
Neppure la Festa del 25 Aprile è stata risparmiata: “Finché quella parola, “antifascismo”, non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà ad infestare la casa della democrazia italiana”. Queste dovevano essere le ultime parole del monologo che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere in prima serata sulla Rai proprio per la giornata del 25 Aprile, una giornata di Festa per la Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazi-fascista.
Così non è stato: Scurati non ha più letto il suo monologo alla Rai.
La notizia, immediatamente trapelata, ha dato il via a numerose proteste e pare che ci sarà un’inchiesta.
Nessuno saprà mai come finirà; un po’ come accade a quasi tutte le inchieste che trattano le azioni dei componenti del nostro Parlamento che dovrebbero, proprio perché rappresentano le Istituzioni, avere un comportamento ineccepibile e di esempio per tutti i cittadini.
Questi tentativi di censura hanno avuto una eco senza pari; si sono trasformati nell’esatto contrario e hanno avuto da parte della stampa e della stessa TV cori di biasimo sulla condotta della politica, dell’attuale compagine governativa.
Questi episodi mi hanno portato a riflettere molto sul fatto che la nostra televisione di Stato, per quanto possiamo sforzarci nel vederla come una televisione libera, quindi senza censure e limitazioni di pensiero, non sia mai stata libera.
Con il termine “censura” noi pensiamo alla limitazione della libertà di stampa, di radiodiffusione, diritto di assemblea e libertà di espressione che fu imposta durante il fascismo.
In un Paese considerato tra le maggiori democrazie moderne, è alquanto anacronistico avere ancora a che fare con la censura: significa non aver fatto ancora i conti con la propria Storia.
Ciò evidenzia come la televisione di stato viva degli umori governativi e politici del momento.
Le criticità nella gestione della Rai mostrano una preoccupante inclinazione verso un controllo politico che mina la sua funzione democratica.
Si osserva una prevalenza di influenze politiche e partitiche, dalle nomine dirigenziali alle scelte editoriali, che limitano le diversità culturali e la libertà di espressione, e si manifesta nella selezione degli ospiti nei programmi di dibattito e nell’orientamento delle trasmissioni.
Per arrivare ad una televisione, in questo caso la Rai, o ad un incarico dirigenziale di Stato, la scelta dovrebbe cadere su professionisti che non dovrebbero temere di essere censurati o oscurati, serve che le funzioni della società televisiva siano pienamente autonome dal Governo e che non siano influenzate dai partiti al momento in carica.
Fino al 2023 il canone Rai ammontava a 90 euro, da quest’anno è stato ridotto a 70, ciò non significa avere il diritto di dettare condizioni ad “ogni piè sospinto”. La situazione che ho cercato in parte di descrivere ha svuotato la parte migliore della tv di Stato: molti conduttori di spessore hanno preferito migrare nelle tv libere, le quali, non avendo sussidi statali, purtroppo ci inondano di pubblicità, ma se questo è lo scotto da pagare per vedere un programma di qualità allora…pazienza.