Due pesi due misure


È il febbraio del 1969, una piattaforma a largo di Rimini viene distrutta da una burrasca, dal momento che gli oltre 1700 kg di esplosivo, fatti brillare dal governo italiano, non erano stati sufficienti a far implodere la struttura. Questa piattaforma, edificata dall’ingegnere Giorgio Rosa, era in realtà il territorio di una micronazione, la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose; Rosa, il primo maggio del ‘68, aveva proclamato l’indipendenza dell’isola, edificata sulle acque internazionali a largo della costiera romagnola. In seguito alla vicenda, l’ONU, onde evitare simili azioni di controllo su acque internazionali, estese le acque territoriali degli Stati da 6 a 12 miglia.

Il primo settembre 2020 diciotto pescatori di Mazara del Vallo vengono fermati a largo di Bengasi, la roccaforte libica del generale Haftar, dalla guardia costiera di quest’ultimo. Vengono imprigionati e viene loro concessa una sola telefonata, a novembre; Haftar chiarisce subito i termini della negoziazione: si tratta di uno scambio di prigionieri. Se Palazzo Chigi vuole la liberazione di 18 cittadini deve avviare l’estradizione di quattro giovani libici, condannati dalla magistratura italiana a 30 anni di prigionia. I quattro sono stati scafisti durante una traversata dell’estate del 2015, la cosiddetta “Strage di Ferragosto”: per colpa dei condannati morirono infatti quarantanove persone.

I pescatori si erano spinti fino a 40 miglia marittime dalla costa della Cirenaica, alla ricerca del pregiatissimo gambero rosso, materia prima del mercato di Mazara del Vallo. Trovandosi in acque internazionali, i marinai non si sarebbero dovuti preoccupare di nulla, ma due motovedette di Haftar li hanno privati della libertà.
Dopo 55 giorni di indipendenza dell’Isola delle Rose, le forze dell’ordine italiane circondarono la struttura, partendo dalla zona sud ovest della piattaforma, dove questa confinava con le acque territoriali, e invasero, seppure senza atti di violenza, la micronazione.
Dopo 108 giorni di prigionia ingiustificata e maltrattamenti a 18 cittadini, l’Italia è riuscita a risolvere la situazione attraverso la diplomazia, ossia procedendo all’estradizione dei quattro scafisti (fonte: Asharq Al-Awsat).

Una soluzione fin troppo lenta, dunque, a un problema fin troppo ricorrente: negli ultimi venticinque anni, la Libia ha sequestrato oltre cinquanta pescherecci italiani (fonte: The Guardian). Il Canale di Sicilia è, infatti, molto battuto dai marinai italiani essendo una delle migliori zone al mondo per la pesca del gambero rosso; dal 2005 la Libia, nella figura di Mu’ammar Gheddafi, ha esteso unilateralmente le sue acque territoriali a 74 miglia, più di sei volte tanto il limite stabilito dall’ONU, riducendo drasticamente il “terreno di caccia” dei pescatori italiani.

Considerato il limitatissimo interesse che l’Unione Europea e la comunità internazionale hanno dimostrato nei confronti della faccenda, la contesa si riduce a un generale con una lunga storia di affiliazione a Gheddafi (Haftar prese parte nel colpo di stato del ‘69 e mantenne in seguito alte cariche militari nel governo del “raìs”) e dunque di violenza, e a una repubblica che dalla sua fondazione nel 1946 ha invaso una sola nazione, la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose.

In conclusione, da una parte del conflitto vi è un uomo che, stando all’ONU, “governa col pugno di ferro” (fonte: France24) e dall’altra una nazione in stato di emergenza da ormai quasi un anno: senza l’aiuto della comunità internazionale, l’unica cosa che la seconda può fare nei confronti dei ricatti del primo è accettare a testa bassa.

23/12/2020

Articolo a cura di

Andrea Lupo

IL BANFO

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